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teoria dell’ohilà!

«Per deliziarci di quella magia, da lettori saggi, leggeremo l’opera di un genio non con il cuore, e tantomeno con il cervello, ma con la spina dorsale perché è lì che si manifesta il fremito rivelatore».

Questo è Nabokov, in un celeberrimo passaggio delle Lezioni di letteratura. Da quando l’ho letto ho provato a farci caso e tracce del fremito rivelatore, pero ora, niente. Una volta mi sembrava di sì, stavo leggendo Controcorrente di Huysmans, e più che un fremito era una specie di prurito, proprio in fondo alla spina dorsale. Dopo un paio di giorni ho scoperto che non era il genio di Huysmans, bensì il fuoco di sant’Antonio. Brutta giornata, quella – e pure quelle dopo.

Ho ripiegato quindi su una teoria tutta mia, che ho battezzato la Teoria dell’Ohilà! Certe volte mentre leggo mi pare di sentire una voce che dice proprio così: Ohilà! È una vocina, anzi, per nulla fracassona, che prende la parola con timidezza e solo quando ci tiene davvero a sottolineare qualcosa. Mi è successo anche oggi, leggendo su una rivista online il racconto di un autore che non conoscevo – e che a quel che mi risulta non ha pubblicato nulla al di fuori dalle riviste. Ohilà!

Quello che risveglia la vocina, di solito, è un particolare.

morire per primo

Non avevamo mai discusso le ragioni del declino che papà sembrava essersi andato a cercare, e che era durato vent’anni. Forse il prossimo Natale sarebbe toccato a me aprire e chiudere un argomento gigantesco con una battuta. Forse mentre attaccavo cartoline sul sughero e sul caminetto, e lei disponeva i cracker ai lati del piatto, le avrei detto: «Senti, tu lo sai cos’è successo a papà, vero?».
Perché in realtà non era cosi misterioso. Quando il giorno delle nozze papino si era alzato in piedi, e aveva giurato di restare con sua moglie fino a che morte non li avesse divisi, doveva aver pensato che l’esito fosse scritto. Avendo undici anni più di lei, si sentiva al sicuro. La morte si sarebbe presa lui, e lei avrebbe continuato da sola. Il caso contrario non era contemplato.
Poi, quando nel 1975 mamma era stata ricoverata, doveva aver pensato che forse tutto scritto non era, una rivelazione da cui non si era più ripreso. Da li in poi, era stato un uomo diverso. Non che avesse deciso di morire, non in questi termini, ma di andarsene per primo sì. Quindi si era messo al riparo dal rischio di dover affrontare la vita senza di lei. E pazienza se avrebbe fatto di peggio, prima di lasciarla sola.
Con un po’ di fortuna mi sarebbe bastato dire: «Lo sai cos’è successo a papà, vero?». E lei, senza neanche alzare gli occhi, mi avrebbe risposto: «Certo, ha deciso di morire per primo».

Adam Mars-Jones
Box Hill (2020)
Traduzione di Matteo Codignola
Orville Press (2023)

bambini

Il sensitivo disse che avrei avuto due figli.
Scuoto la testa. So che i bambini non devono essere lasciati soli. Neanche per un minuto. Ma dopo un po’ penso: cosa può succedere a un bambino nel tempo che impiego per correre all’angolo a prendere un cappuccino da asporto? E così lo faccio, corro all’angolo e prendo il cappuccino. E poi penso che lì accanto c’è quel negozio che ha in saldo i guanti di pelle. Davvero, penso, sono solo un paio di isolati. Così vado al negozio e compro i guanti. E poi mi viene in mente: da quanto tempo non vado al cinema! Uno spettacolo pomeridiano! Così faccio anche quello. Vado al cinema. E quando esco, mi rendo conto che sono passati anni dall’ultima volta che sono stata a Parigi. Anni. Cosi vado a Parigi, torno tre mesi dopo e trovo uno scheletro nella culla.
Nessuno mi ha mai detto che ci so fare con i bambini.

Amy Hempel
Ragioni per vivere
Traduzione di Silvia Pareschi
SEM, 2019

festa in maschera

So che nel 1746 il governo svedese rese illegale possedere ogni accessorio del caffè, inclusi piattini e tazzine, per la convinzione di re Gustav III che tè e caffè facessero male. Il re ordinò addirittura uno studio su due fratelli gemelli condannati a morte: per entrambi il giudizio fu convertito a condanna all’ergastolo, a patto che uno dei due bevesse tre tazze di tè al giorno, per sorvegliarne la condizione, e l’altro tre di caffè. Per la cronaca, il primo a morire non fu quello del tè, che morì a ottantatré anni, né quello del caffè, che morì ancora dopo, sopravvivendo a tutti i dottori; ma il re, assassinato nel 1792 durante una festa in maschera.

Ivano Porpora
Nero & bollente
UTET, 2023

la pecora nera

In un lontano paese visse molti anni fa una Pecora nera.
Fu fucilata.
Un secolo dopo, il gregge pentito le innalzò una statua equestre che stava molto bene nel parco.
Così, in seguito, ogni volta che apparivano pecore nere, esse venivano rapidamente passate per le armi, perché le future generazioni di pecore comuni potessero esercitarsi anche nella scultura.

Augusto Monterroso
La pecora nera e altre favole
Traduzione di Maria Teresa Marzilla
Sellerio, 1980

(recentemente ripubblicato da Occam)

collezioniste di sacrifici

Guarda in su e sputa il fumo della sigaretta verso un cielo grigio come i cagnolini che si chiamano Briciola o Fiocco e accompagnano le vecchiacce che quando la incontrano per strada la fermano e le chiedono Come sta la mamma? Come sta papà? E Teresa cantilena delle aritmie materne e descrive le nuvolaglie mentali paterne, e dai cagnolini sale una puzza di rancido che s’intuisce già a vederli da lontano e da vicino ti prende la gola. Le vecchiacce annuiscono e invidiano: com’è brutto diventar vecchi, i tuoi son fortunati, meno male che ci sei te, che li guardi e li aiuti. Ma gli occhietti all’ingiú delle vecchiacce subito si spalancano e luccicano, non è per disgrazia se loro vivono da sole con Briciola o Fiocco, o addirittura con un marito svaporato e tuttavia in grado di sfondare il divano, piú un corredo di malattie a maggioranza finte, no no no. Loro sono da sole perché Dio le ama, le tiene in pieno riguardo, ricompensa senza economia il loro martirio di madri-collezioniste di sacrifici ben visibili, ben riconoscibili, tutti li hanno visti i loro sacrifici, perché i loro, di figli, sono lontani e di successo, a Londra, a Berlino, uno persino a New York. Come fanno, poverini, a occuparsi dei genitori? Lavorano tantissimo. Hanno famiglie internazionali. Invece tu, Tére. Lo dice sempre la tua mamma, che a te certe cose non interessano, che stai bene cosí, sei una personcina tranquilla, riservata, hai preferito cosí, hai scelto cosí, non avevi voglia di sposarti, certe cose non ti interessano, non avevi voglia di andar via, sei per le cose semplici, ti accontenti, sei modesta, sei tanto sensibile, Tére. E quando le vecchiacce sono di buonumore, piene di energia e la voglia di vincere spurga come lacrime viscose, cavano il cellulare dalla borsa e scorrono le foto, a beneficio di Teresa: foto di figli incravattati, foto di figlie con i tacchi, foto di nipoti che più intelligenti di cosí non si può. Bon, si è fatto tardi, vieni Briciola, vieni Fiocco, lascia stare il cadavere di Teresa…

Marta Cai
Centomilioni
Einaudi, 2023

ridere

Su una panchina al parco c’è un vecchio che ride.
Non riesce a fermarsi, si guarda attorno e ride.
Quando gli passa fa un gran respiro, si dà uno schiaffo sulla guancia.
E ricomincia.

(un racconto brevissimo che potrebbe – o potrebbe non – essere vero)

oppure nessuno

Hailey era ancora sola. Non si era fatta nemmeno un animale, né un cane né un gatto né un canarino. Gli animali erano compagnie di ripiego, e lei ne avrebbe avute di vere, oppure nessuna. Aveva letto da qualche parte, parecchio tempo prima, che la solitudine non era una cosa triste ma una fase vitale e di trasformazione, di preparazione all’amore. Non ci credeva più. Ma se lo ricordava ancora.

Daniel Orozco
Semplici legami, in Orientamento (2011)
Traduzione di Emanuele Giammarco
Racconti Edizioni, 2021

rete

Facevamo così: lui saliva palla al piede dalla difesa, appena superava la metà campo io tagliavo in diagonale, sapendo già che me l’avrebbe data di sinistro, con un colpo appena smorzato, in modo che partisse veloce ma poi rallentasse quando mi passava di fianco, permettendomi di incrociarla di prima sul palo lontano. Il portiere di solito neanche si muoveva. Non so perché quell’azione mi sia venuta in mente stamattina, non la metterei tra le cose che più mi sono mancate di lui in questi 11 anni. Non il gesto in sé, almeno; ma quella conoscenza reciproca, il sapere d’istinto cosa avrebbe fatto l’altro, in campo e quindi poi anche fuori, quelli sì che li metterei nella lista di cose che mi mancano di più.