almeno una telefonata, grazie

Al suicidio ho pensato solo una volta, da bambino. Facevo i capricci perché mio padre non mi voleva comprare un robot giocattolo, peraltro molto più economico della bottiglia di vino che aveva comprato per sé. Andai a rubare una cravatta dal suo armadio, me la annodai al collo e poi, in lacrime, annunciai che stavo per impiccarmi. Fu una prova d’attore così riuscita che ancora oggi mi ci rivedo benissimo. Mio padre, imperturbabile, mi degnò giusto di un’occhiata e poi si dedicò ad altro. Quando sarai morto, disse, facci almeno una telefonata, grazie.

Prabda Yoon

Penna tra parentesi, in Feste in lacrime

traduzione di Luca Fusari

add editore, 2018

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