Il pesce rosso di Lane, che si chiamava Goldie, ormai quasi galleggiava sul fianco screziato di scaglie bianche e arancione, era lì lì, quasi arrivato allo stadio in cui l’attenzione del veterinario sarebbe potuta essere unicamente cosmetica. Lane è rimasta a fissare il mondo del suo pesce rosso sopra il comodino, illuminato dal bagliore arancione della lampada di Cenerentola: lo fissava con una specie di ingannevole indifferenza negli occhi marrone. Quella testolina di cinque anni, molto più sveglia della mia, ha domandato: “Ma si mangiano i pesci rossi?”.
Le ho risposto che io non lo facevo, anche se mi ricordavo certi goliardi universitari che li ingoiavano vivi nel corso di festicciole a base di fiumi di birra.
“Perciò morirà?”
“Temo di sì”
“E perché?”
“Tutti gli animali muoiono. Qualcuno vive più a lungo degli altri, ma tutti quanti muoiono”, le ho spiegato.*
“No, volevo dire: perché lo temi”.
Mi ci è voluto un po’ per arrivarci. “‘Temo di sì’ è solo una frase fatta, un’espressione di uso comune, è un modo di dire che sta per succedere qualcosa e noi non possiamo farci niente”.
“Forse ho dato troppo da mangiare a Goldie”. Non era una confessione, quanto una constatazione.
“Forse. Forse è quello che facciamo tutti”. Siamo rimasti a fissare il pesciolino malato ancora un po’, poi ho sollevato la palla, sentendo il vetro fresco contro il palmo delle mani. “Beh, è arrivato il momento di portare Goldie in giardino e seppellirlo. Vuoi venire anche tu?”.
Lei ha scosso la testa.
“Te ne resti qui?”.
“Temo di sì”.

Percival Everett
La cura dell’acqua
Traduzione di Marco Rossari
Nutrimenti, 2008
* il grassetto è del mio gatto, che mentre scrivo mi pigia la pancia e, ogni tanto, il mousepad; qualcosa vorrà dire, o forse no.