Dopotutto, per vivere felici, bisogna conoscere di tanto in tanto qualche momento di assenza perfetta. Invece io ero sempre vulnerabile, sempre vigile; neanche nel sonno smettevo mai di tenermi sulla difensiva, senza capire niente della mia esistenza, pazzo all’idea di non riuscire a liberarmi della mia consapevolezza, e invidioso di tutte quelle persone semplici – impiegati, rivoluzionari, bottegai – che con fiducia e concentrazione, portano avanti i loro lavoretti. Non disponevo di quel tipo di guscio; e in quelle terribili mattinate azzurro pastello, i tacchi che picchiettavano per il deserto cittadino, mi figuravo qualcuno che avvertendo chiaramente il moto della sfera terrestre perdesse la ragione: eccolo che barcolla, che cerca di mantenere l’equilibrio, che si aggrappa ai mobili; oppure che si accomoda al finestrino con un sorriso eccitato, come uno sconosciuto in treno che vi si rivolge dicendo: «Sta proprio bruciando i binari, vero?!». Ma presto rollio e beccheggio gli danno la nausea; comincia a succhiare un limone o un cubetto di ghiaccio, e si sdraia lungo sul pavimento, invano. Il moto non può essere bloccato, il conducente è cieco, i freni non si trovano da nessuna parte, e quando la velocità diventa intollerabile il cuore scoppia.

Vladimir Nabokov
L’occhio
Traduzione di Ugo Tessitore
Adelphi, 1998