“cose da fare per farsi del male”: un diario di scrittura

Il prossimo 19 gennaio uscirà la mia nuova raccolta di racconti. Si intitola Cose da fare per farsi del male, è pubblicata da Giulio Perrone Editore, e quello che segue è una specie di diario di scrittura.

Nella primavera del 2019, circa un anno dopo l’uscita del Vizio di smettere, mi ritrovo con sei racconti nuovi e inediti, pronti da impacchettare e proporre a qualche editore. Nonostante le premesse (una raccolta di racconti? ahia; di un autore italiano ed esordiente? ahia ahia) Il vizio di smettere è andato piuttosto bene, e forse ubriaco di quel (micro)successo mi metto in testa che trovare un editore per la nuova raccolta non sarà troppo difficile. Che fessacchiotto. Ricevo in fretta i primi rifiuti, da parte di editori che mi piacciono molto. Incasso con falsissima signorilità e inizio a convincermi che abbiano ragione loro. I sei racconti sono tutti mediamente corti tranne uno, e mancano di coesione tra loro. Insomma, la raccolta così com’è non funziona.
Le possibilità a questo punto sono due: bruciare i racconti su una magnifica pira digrignando i denti, oppure rimettersi a scrivere. E siccome i racconti sono sul portatile e dargli fuoco sarebbe poco conveniente, non resta che la seconda.

Insomma arriva il 2020, ho continuato a scrivere, adesso ho otto racconti che nessuno vuole e inizio ad andare in confusione. Prima includo nella raccolta un racconto mooolto lungo che ho scritto nel frattempo – bella idea, bravo merlo; se già prima c’erano problemi di equilibrio, questo peggiora ulteriormente le cose. Di buono c’è che almeno me ne accorgo in fretta, e lo tolgo. Non pago, elaboro una maldestra cornice narrativa che riunisca i racconti, nella speranza che questo renda la raccolta più appetibile. Se sembra la mossa della disperazione, è perché lo è. Aggiungi un racconto, elimina un racconto, metti la cornice, togli la cornice. Sembro una versione sotto steroidi del maestro Miyagi, e infatti mi becco rifiuti da altro un paio di editori.
A tirarmi su il morale arriva una buona notizia: il mio primo – e a oggi unico – romanzo ha trovato casa (si intitola Consolazione, uscirà per Rizzoli all’inizio del 2022), e passo tutto il resto del 2020 a lavorare su quello.
Però quegli otto racconti raminghi, che tarlo, che tarlo.

Eliminata la goffa cornice narrativa con cui nel 2020 ho cercato di dare una posticcia uniformità alla raccolta, in un raro momento di lucidità torno a ragionare per racconti singoli – la dimensione in cui mi trovo più a mio agio. Tra l’estate e l’autunno del 2021 scrivo quattro racconti nuovi – uno di questi mi sembra una delle cose migliori che abbia mai scritto; quando troverò un editore per la raccolta (*se* lo troverai, *se*) decido che questo sarà il racconto di apertura. Oltre ad aggiungere questi quattro, mi chiedo se ci sia qualcosa da togliere. Per esempio, ce n’è uno che adesso mi sembra fuori posto. Non che non mi piaccia, anzi, ma non lega bene con gli altri e inizio a pensare che sarebbe meglio pubblicarlo da solo. Mica facile, però.

Nella primavera del 2022 sento parlare di una nuova casa editrice che si chiama Tetra e che fa proprio questo: pubblica racconti singoli, in piccoli volumetti quadrati. Propongo a Tetra il racconto-che-starebbe-bene-da-solo, e Tetra dice di sì (il titolo cambierà in L’odio migliore, uscirà nel 2023). La raccolta, intanto, è sempre lì, sempre immobile. C’è un aspetto positivo nell’averla montata e smontata così tante volte, ed è che ormai mi sono fatto un’idea abbastanza precisa della sua fisionomia. Di quello che le manca e di quello che è di troppo. Per esempio, c’è un altro racconto a cui per varie ragioni sono molto affezionato, ma che sembra un corpo estraneo in mezzo agli altri. A malincuore lo elimino dalla raccolta. Ma quando Andrea Temporelli mi chiede un testo per un’antologia a cui sta lavorando, glielo mando con grande piacere. Si intitola Gli altri, ed uscirà nel 2023 in Splendere ai margini (Oligo editore).
Arrivato a questo punto, non posso fare a meno di notare una cosa: tutto quello che esce dalla raccolta viene pubblicato da qualche parte. Ma non è che è la raccolta in sé ad avere addosso il malocchio? Sono una persona cocciutamente razionale per il 99% del tempo, ma nel restante 1%, come questa domanda dimostra, sarei disposto a credere più o meno a qualsiasi cosa.

Facendo due calcoli, dal 2019 al 2022 ho aggiunto alcuni racconti, ma soprattutto ne ho eliminati. La raccolta ne ha guadagnato in compattezza, ed è una scelta che paga. Alla fine del 2022 finalmente Cose da fare per farsi del male trova un editore: Giulio Perrone. Forse avrete sentito parlare del luogo comune secondo cui la firma di un contratto editoriale provoca una specie di ansiosa paralisi. Bene, per me è il contrario. Come mi è già successo con Il vizio di smettere, una volta che firmo vengo preso da una piacevole frenesia. Tra dicembre del 2022 e aprile del 2023 scrivo con grande piacere e altrettanta facilità quattro racconti nuovi. Forse il motivo per cui riesco a scriverli con questa scioltezza è proprio questo: adesso so esattamente quale sarà il loro ruolo, quale il loro rapporto con i racconti precedenti. Uno in particolare, dal tono apocalittico, sembra fatto apposta per chiudere la raccolta. Ed è li che finirà.
Resta solo un ritocco, un ultimo racconto che non mi convince del tutto. Devo lavorarci ancora, quindi lo elimino dalla raccolta. Restano dodici racconti, rigorosamente indipendenti, con sottotrame più o meno invisibili che li legano. Tutti più o meno nel recinto del realismo, ma in molti c’è almeno un accenno a qualcosa di ulteriore. La fisionomia definitiva di Cose da fare per farsi del male è questa, e adesso posso smettere di tafanarvi con questo sbilenco diario di scrittura.
Stappate pure.
Anzi no, abbiate pazienza, ora che ci penso manca ancora un ultimo tassello. In questa sfiancante girandola di aggiunte ed eliminazioni, solo una cosa è rimasta in sospeso: il racconto mooolto lungo (qualcuno direbbe: novella) a cui ho accennato in un retroscena precedente. Anche quello nel frattempo ha trovato un editore – e per me è un po’ come tornare a casa. Ma questa – come si suol dire – è un’altra storia, e ne riparleremo più avanti. Per ora, mi fermo qui.
Stappiamo.

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