Roberto arriva alle 8.40, puntuale come sempre.
Quando salgo in macchina la prima cosa che dice è «Oh, ma che faccia hai?».
«La faccia di uno che ha dormito per terra» dico io. «I gemelli hanno pianto ininterrottamente, a turno, dalle undici alle due. A un certo punto non ne potevo più di fare la spola tra un lettino e l’altro, mi sono steso un attimo, e mi sono svegliato stamattina alle sei e mezza».
«Mani avanti?» dice Roberto.
«Eh?»
«Metti le mani avanti? “Sono stanco, non ho dormito…”, così se perdi hai la scusa pronta? Come se non avessi figli anche io… Tre, per giunta»
«A parte che non perdo,» rispondo «e comunque il più piccolo dei tuoi ha otto anni, non due e mezzo. E fra l’altro non ti sei mai svegliato in vita tua per andare a vedere di cosa avessero bisogno di notte, quindi non ci provare».
«E tu che ne sai, se mi sveglio o no?».
«Lo so perché è da quando sono nati i miei che cerchi di convincermi che quella è roba che spetta alle donne».
Scambi come questo sono il nostro riscaldamento. Ogni sabato mattina andiamo a giocare a tennis in un circolo a dieci chilometri da casa mia, e ogni sabato mattina le ostilità iniziano ben prima di scendere in campo. Nello spogliatoio o già in macchina, come oggi.
«Vabbe’, vabbe’,» dice Roberto fermandosi a un semaforo «vorrà dire che oggi non spingo troppo. Vuoi anche uno 0-15 di handicap, per stare più sicuro?»
«Voglio che guidi e taci, sarebbe già sufficiente».

Incipit di Match Point, un mio racconto sul numero 83 di «Nuovi Argomenti»