Viveva un dì nel villaggio di Izumo chiamato Mochida-no-ura un contadino che era così povero da temere di aver figli. E ogni volta che la moglie gli dava un figlio, lo gettava nel fiume e faceva finta che fosse nato morto. Alle volte era un maschio, altre una femmina; ma in ogni caso la creatura veniva gettata nel fiume di notte. A questo modo ne finirono assassinati sei.
Ma, col passar degli anni, il contadino venne a trovarsi in condizioni economiche migliori. Era riuscito a comprare un po’ di terra e a mettere da parte del denaro. E alla fine la moglie gli diede il settimo figlio: un maschio.
Allora l’uomo disse: «Ora possiamo permetterci un figlio, e ne avremo bisogno per aiutarci quando saremo vecchi. E poi questo bambino è bellissimo. Perciò lo tireremo su».
E il bambino crebbe; e ogni giorno il rude contadino si stupiva di più del proprio cuore – perché si era accorto di amare il figlio ogni giorno di più. Una notte d’estate uscì in giardino con in braccio il figlioletto. Il piccolo aveva cinque mesi.
E la notte era così bella, con quella grande luna, che il contadino esclamò:
«Aa! kon ya medzurashii e yo da! (“Ah! stanotte è una notte incredibilmente bella!”)».
Allora la creatura, alzando gli occhi sul suo viso e parlando come un uomo, disse:
«Ma padre! l’ULTIMA volta che mi hai gettato via era una notte come questa e la luna sembrava proprio uguale, o sbaglio?».
Dopo di che il bambino restò come gli altri bambini della sua età e non disse più nulla.
Il contadino si fece monaco.

Lafcadio Hearn
Il settimo figlio, in Ombre giapponesi
a cura di Ottavio Fatica
Adelphi, 2018