Il ragazzo comparve ad A***** nel tardo pomeriggio di un giovedì di giugno. Arrivò a piedi, costeggiando i tralicci dell’alta tensione che dalle colline alle spalle del paese scendevano fino a valle. Attraversò in diagonale i campi, facendosi largo tra le piante di mais, e quando fu in prossimità della linea ferroviaria, impossibilitato a proseguire a causa dei cavi elettrici sopra le rotaie, si sedette nell’erba e attese.
Dopo qualche minuto venne notato da un abitante di A*****, un ciclista amatoriale che aveva approfittato della freschezza della sera e stava tornando verso casa dopo un lungo allenamento. Il ciclista scese dalla bicicletta, incuriosito. Un forestiero era una rarità da quelle parti. Si avvicinò al ragazzo.
Ha bisogno di aiuto?, chiese, e solo allora vide i fili. Sembravano fuoriuscire dai polsi del giovane e salivano in cielo per un lunghezza infinita, o comunque sufficiente perché non fosse possibile scorgerne l’altra estremità ad occhio nudo.
Il ragazzo guardò il ciclista.
Grazie, no, sto solo aspettando qualcuno disse, i fili accarezzati dal vento che scendeva dalle colline mandavano bagliori fugaci quando un raggio dell’ultimo sole della giornata ci passava attraverso.
Il ciclista pensò a uno scherzo, poi a un gioco di prestigio, e prima ancora di decidere quale fosse la definizione esatta di quel che aveva visto stava già pedalando verso la piazza della chiesa, dove giunse senza fiato. Lasciò cadere la bicicletta, entro nel bar del paese.
Questa la dovete vedere disse ansimando, venite, presto, venite.
(incipit di un racconto in lavorazione)
[update: il racconto è stato poi inserito in Il vizio di smettere, con il titolo Una vita in venti minuti]