Se ho detto qualche bugia? Certo. Ho lasciato intendere di essere vissuto quattro anni sulla Rive Gauche seduto ai tavolini dei caffè famosi a osservare gli esistenzialisti discutere appassionatamente. Ciò che giustificava ai miei occhi queste esagerazioni era la convinzione che avrei davvero potuto fare qualcosa del genere. Tutto nella mia vita sembrava fortuito, una serie di svolte ed eventi imprevisti, per cui nel mio caso l’invenzione non era più stravagante della verità. Come quando raccontai alla signora incontrata in treno alla partenza da Chicago che ero russo. Descrissi il nostro appartamento a Leningrado, gli orrori del lungo assedio, la morte dei miei genitori davanti a un plotone d’esecuzione tedesco a cui noi figli fummo costretti ad assistere, i campi profughi in Europa. A un certo punto durante la notte chiesi scusa, andai alla toilette, e giù a ridere.
Quanto del mio racconto avrà creduto? Chissà. All’arrivo la mattina mi diede un lungo bacio d’addio, che poteva significare qualunque cosa.

Charles Simic
Il mostro ama il suo labirinto
Traduzione di Adriana Bottini
Adelphi, 2012