Il mio cane era sempre sul divano quando tornai in salotto. Aveva un incubo e si lamentava, muoveva le zampe a scatti e piangeva. Cacciava qualcosa oppure lo stavano rincorrendo, e le zampe si muovevano sempre più veloci. Provai pena per lui, perché anch’io spesso facevo questi sogni di fuga, inseguito da mia moglie, dal mio agente o dai fratelli King, gli ultimi produttori che mi avessero ingaggiato. Si svegliò improvvisamente, sollevò la testa, contento che fosse solo un sogno, e soddisfatto si mise a sedere ansimando.
Gli domandai: – Come ti chiami ragazzo?
«Crepa» mi disse il suo sguardo.

John Fante
Il mio cane stupido, in A ovest di Roma
Traduzione di Alessandra Osti
Einaudi, 2008