Ieri ho preso un treno che in poco più di un’ora di viaggio ha accumulato quaranta minuti di ritardo, e mentre stavamo finalmente entrando in stazione una ragazza è andata dal controllore, a lamentarsi che col ritardo lei perdeva la coincidenza e tutto diventava un gran casino, sì, un gran casino. Il controllore le ha risposto che il treno successivo in effetti non ci aveva aspettati, ma che c’era già pronto un taxi che l’avrebbe portata dove doveva andare senza ulteriori addebiti. E poco dopo, quando è venuto fuori che un ragazzo aveva lo stesso problema con la stessa coincidenza, al controllore non è sembrato vero di risparmiare una corsa, e così gli ha detto di accodarsi alla ragazza e salire anche lui sul taxi – tanto dovete andare nello stesso posto, no?
Quando siamo scesi dal treno i due compagni di viaggio forzati mi camminavano davanti, e stai a vedere, ho pensato, che questa gran rottura di balle del ritardo si rivela provvidenziale, perché i due salgono sul taxi, chiacchierano, si innamorano, e finiscono a fare le cose che fanno abitualmente quelli che si innamorano. Nasce un figlio, che si rivela un pezzo d’asino fino al liceo, ma poi si appassiona alla scienza e nel 2066 scopre la cura per una malattia che sta mietendo milioni di vittime.
Oppure, ho pensato, stai a vedere che i due non fanno neanche in tempo a salire sul taxi e già non si sopportano, una di quelle antipatie tanto feroci quanto immotivate, e quando dopo due ore di odio muto arrivano a destinazione a entrambi sembra di tornare a respirare. Mentre scende dal taxi a lui scivola il portafoglio dalla tasca. Lei se ne accorge ma fa finta di nulla, raccoglie il portafoglio dal sedile, lo infila nella borsetta, e sulla via di casa lo getta in un cestino, senza un perché. E insomma, per via del fatto che quei due non si son piaciuti affatto, quando scoppia la malattia non c’è niente, proprio più niente da fare.