l’educazione musicale

A casa dei miei cugini c’era una stanza con un tavolo da ping pong. Così, a fine anni 90, noi si passavano le eterne giornate estive a giocare a ping pong. Ero il più piccolo, perdevo quasi sempre.
In quella stanza c’era anche uno stereo con a fianco una pila di CD – a me, che ancora riavvolgevo le cassette con la matita, i CD sembravano un prodigio fantascientifico.
Nella pila c’erano Clash, Cure, Joy Division, Pixies, Sonic Youth, U2, il Boss, Cramps, Mudhoney, Velvet Undeground, Jesus and Mary Chain, Jane’s Addiction, Red Hot Chili Peppers. C’era anche la prima edizione americana di Bleach dei Nirvana, non ancora marchiata Geffen. E c’era Bowie.
Forse è grazie a quella pila di CD se adesso non ascolto Justin Bieber. Forse non lo avrei ascoltato lo stesso, ma per altre vie.
Poi è morto Cobain, poi è morto Reed, poi è morto Bowie. Gli U2 è come se. Altri tengono botta, più o meno, ma quel pantheon si sta sbriciolando, un pezzetto alla volta, e io ho un po’ di capelli bianchi, e i CD sono in declino. Sto per avere una figlia, tocca trovare un modo di non farle ascoltare il Justin Bieber di domani. O almeno, provarci. Smettiamo di esplorare lo spazio, reinvestiamo nella clonazione anticipata di Smith e del Boss, in quella postuma di tutti quelli che non ci sono più. O almeno, proviamoci.