Per esempio: non potrei giurare che in almeno un’occasione, prima della fase Midwest del nostro viaggio o al suo principio, Lolita non abbia potuto trasmettere qualche informazione, o comunque entrare in contatto con uno o più ignoti. Ci eravamo fermati a un distributore sotto l’insegna di Pegaso, e Lo era sgusciata via per fuggire verso il retro dell’edificio, mentre il cofano alzato, sotto il quale mi ero chinato per osservare le manipolazioni del meccanico, la nascondeva per un momento alla mia vista. Incline all’indulgenza, mi limitai a crollare il capo benigno, benché a rigore quelle sue puntatine fossero tabù: sentivo istintivamente che le toilettes – così come i telefoni – erano i punti in cui, per ragioni insondabili, il mio destino rischiava di rimanere impigliato. Abbiamo tutti questo genere di oggetti fatali – in un caso può essere un paesaggio ricorrente, in un altro un numero – scrupolosamente selezionati dagli dèi per attirare eventi particolarmente significativi per noi: qui John inciamperà sempre; là il cuore di Jane sempre si spezzerà.

Vladimir Nabokov
Lolita (1955)
Traduzione di Giulia Arborio Mella
Adelphi, 1993