tzarn

Quella sera, Moscardo e i suoi compagni avevano compiuto molte cose che non vengono naturali ai conigli, e per la prima volta.
Si erano messi in gruppo, o perlomeno avevano tentato: in realtà, più di una volta si erano distanziati l’uno dall’altro. Avevano inoltre cercato di mantenere un’andatura costante, né a balzi né di voltata, e ciò era stato duro. Una volta penetrati nel bosco, l’ansietà non li aveva mai abbandonati. Alcuni era quasi tzarn: un coniglio è tzarn quando, esausto o atterrito viene colto da una specie di paralisi, e allora, con gli occhi sbarrati, guarda come abbagliato il nemico – uomo o donnola – che avanza su di lui per farlo secco. Nicchio, agguantato sotto una felce, tremava tutto, le orecchie gli ricadevano ai lati del muso. Teneva uno zampino allungato, in una posa goffa e innaturale, e se o leccava miserevolmente. Quintilio, benché non altrettanto avvilito, era esausto anche lui. Moscardo si rese conto che, finché non si fossero riposati, era meglio restar lì, dove si trovavano, piuttosto che avventurarsi all’aperto, senza lena per fuggire se incontravano un nemico. Al tempo stesso, a star lì a rimuginare, senza cibo né covo sottoterra, c’era caso che l’angoscia e la paura gli rodessero il cuore a tal punto da indurli a scappare alla cieca, sparpagliarsi, o magari tentar di tornare alla conigliera.
Allora ebbe un’idea.
«E va bene, restiamo qui, a riposarci» disse. «Infrattiamoci sotto le felci. Dai, su, Dente di Leone, tu raccontaci una novella. Lo so che sei bravissimo. Nicchio qui non vede l’ora di sentirla».
Dente di Leone guardò Nicchio e capì cosa l’altro intendesse. Soffocando le proprie paure – la paura di quel luogo desolato, dei gufi che s’udivano tornare ai loro nidi dopo la caccia notturna, degli acri odori di animale selvatici che sembrava venire da poco lontano – cominciò a raccontare.

Collina

Richard Adams
La collina dei conigli, 1972
Traduzione di Pier Francesco Paolini
Rizzoli, 1975

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