C’è stato un periodo in cui coi miei amici si mangiava kebab di continuo. Una, due, tre volte a settimana. E mica sempre nello stesso posto, no, noi si girava alla ricerca di un kebab diverso ogni volta, che tanto di posti dove mangiare kebab a quei tempi ne aprivano a bizzeffe. E poi si rideva parecchio a vedere tutti i modi in cui lo scrivevano sulle insegne – kebab, kebap, un volta persino kepap. Poi abbiamo smesso, non ricordo perché. Smesso di mangiarlo, intendo, non di guardar le insegne. Forse a un certo punto avevamo trovato il kebab perfetto e la ricerca non aveva più senso, o forse ci era solo venuto a noia il kebab. Fatto sta che adesso, passati gli anni, ogni volta che cammino davanti a un posto che fa i kebab e guardo i rotoli di carne che girano sullo spiedo mi pare che siano tutti molto più secchi e tristi di quelli che si mangiava coi miei amici in quel periodo là. E non saprei dire se sia l’arte del kebab che langue, o se son io che invecchiando mi son fatto più schizzinoso.