Scrivo questo romanzo perché ho bisogno di soldi. Ne ho un bisogno disperato. Io non sono mai stato attaccato ai soldi. È per questo, forse, che non ne ho. Non sono mai stato capace di mettere i soldi in cima ai miei pensieri. Non credo di avere mai buttati via i miei soldi. Ho sempre pensato che se avessi sempre lavorato, avrei avuti sempre i soldi. Ho sempre risparmiato. Sono stato educato al rigore. Ho accettata l’educazione al rigore che mi è stata impartita. Ho sempre pagate le tasse. Ho sempre pagati i contributi volontari. Mi sono fatto un’assicurazione sulla vita. Ho regolarmente comperati i Buoni di Risparmio Postale. Non sono mai vissuto alla giornata. Mi sono sempre sentito tranquillo. Lavoravo, guadagnavo, pagavo le tasse i contributi l’assicurazione, comperavo i Buoni di Risparmio Postale. A volte andava meglio, a volte andava peggio. Ci sono stati degli anni nei quali ho guadagnato molto e degli anni nei quali ho guadagnato poco. Non sono mai stato veramente in difficoltà. Quello che ho risparmiato è sempre bastato a tenermi al sicuro. Non mi era mai successo di dare fondo a tutti i miei risparmi. I risparmi stavano lì. Lavorare mi piace. Nella vita non so fare altro che lavorare. Non sono mai stato avido. Il lavoro mi interessa più del guadagno. Gli amici mi hanno sempre detto che certe volte mi faccio pagare troppo poco. Lo ammetto. A volte mi piace lavorare gratis. Quello che mi dà soddisfazione è il lavoro. Non il guadagno. Il guadagno non è mai stato in cima ai miei pensieri.
Dal primo capitolo del futuro primo romanzo di Giulio Mozzi (gestazione lunga, data di uscita incerta).
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